10 ottobre, 2011

Ulver, Kveldssanger (1995)



  1. Østenfor Sol Og Vestenfor Maane - 03:26
  2. Ord - 00:17
  3. Høyfjeldsbilde - 02:15
  4. Nattleite - 02:12
  5. Kveldssang - 01:32
  6. Naturmystikk - 02:56
  7. A Cappella (Sielens Sang) - 01:26
  8. Hiertets Vee - 03:55
  9. Kledt I Nattens Farger - 02:51
  10. Halling - 02:08
  11. Utreise - 02:57
  12. Søfn - Ør Paa Alfers Lund - 02:38
  13. Ulvsblakk - 06:56
Garm - Voce
Haavard - Chitarra
AiwarikiaR - Flauto, percussioni

I Nostri norvegesi sono proverbialmente famosi per aver imboccato un gran numero di bivi stilistici nel loro cammino. Quello analizzato in queste righe è Kveldssanger, uno di quelli più introspettivi e ancestrali in cui si siano diretti.
Viene da sorridere, se si pensa a quanto poco abbia in comune con il black-folk del precedente Bergtatt, e da restare stralunati, se si pensa al black-e-basta che regnerà nel successivo Nattens Madrigal.


Ma questo non ha nulla che debba essere temuto. Nulla. Come una favola arcana in mezzo all'oscurità. Non è uno di quegli album che propone canzoni aventi una qualunque connessione. Provarne una in modo isolato regala attimi di solare libertà... ma una dopo l'altra, dall'inizio alla fine, scrivono un racconto che si edifica sulla campagna, su ambienti rurali fatti di ciottoli e alberi silenziosi, su crepuscoli montani, su notti e canti sconosciuti.
Si passa dalla serenità, alla malinconia, dalla sacralità a di nuovo la serenità. Tredici pezzi, trenta minuti, mille le corde toccate, che siano quelle degli strumenti o quelle dell'anima.

Già l'inizio è mirato ad immergere sin da subito l'attenzione in questo mondo isolato,  lucente e ombroso. Ogni particolare scorre come un ruscello cristallino. Da qui, malinconia e spensieratezza si alternano, fino a mischiarsi e a diventare un emozione sacrale. Accordi delicati si affiancano a canti in lingua norvegese, flauti e viole. Nulla si lancia in atti osati. Dopo non molto (dalla terza traccia) v'è un cedere della serenità, sostituita dalla statica malinconicità di Kveldssang, aperta dall'aura profonda di Nattleite, ripetuta nuovamente in A Cappella. Questa sfaccettatura così avvolgente cederà gradualmente il posto a quella spensierata di Halling, per poi tornare arcaica, fino a diventare riflessiva, oserei dire cupa, giunta la traccia di chiusura Ulvsblakk.
Alla fine tutto appare genuino, sincero, una contemplazione di ambienti lontani, di suoni e momenti che emergono dal buio, che irradiano raggi caldi di sole e mistici di luna.

Distaccatisi da quella dimensione, riposizionati dal sottovuoto mentale creatosi e tornati per terra, si capisce che pochi strumenti sono tiusciti a fare musica, a trascenderla e a diventare pura emozione. Poi dicono le paste. Ascoltatevi Kveldssanger se volete farvi dei viaggi.

90/100

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