23 ottobre, 2011

Funeral, From These Wounds (2006)


  1. This Barrel Skin - 08:10
  2. From These Wounds - 07:42
  3. The Architecture Of Loss - 09:02
  4. Red Moon - 08:32
  5. Vagrant God - 06:15
  6. Pendulum - 09:13
  7. Saturn - 08:24

Frode Frosmo - Voce, basso
Kjetil Ottersen - Chitarra, programming
Christian Loos - Chitarra
Enders Eek - Batteria

Probabilmente potrete dire di conoscere i Funeral come gruppo granitico e funereo. Qua non è così. In From These Wounds ci viene proposto un death doom sinfonico tristemente romantico, incredibilmente vario. Quindi, considerarlo funeral doom, è a mio avviso tremendamente errato.


Con lo sbrigativo termine vario, intendo indicare un'opera che attinge elementi da molteplici fonti. In cinquantasette minuti passano davanti ai nostri occhi immagini e momenti provenienti un pò da ovunque, con le più svariate intenzioni, comunque tutte in attesa della morte. Di passaggi che non si fanno notare, fra quelli totalmente riflessivi a quelli cavalcanti una carica non per forza rapidissima, ma comunque cruda, ve ne sono molto pochi.
La linea vocale, narratrice di tutto ciò che si possa provare ad attendere il Tristo Mietitore, non è di certo il tipico grunt incomprensibile per un comune mortale, ma ben sì una voce maschile corposa, amorevole, che scandisce le parole come in una nenia, incazzata quando si ritrova tra la parti tirate, che risulta accasarsi bene in ciò che è edificato dalla strumentazione, dal settore corde in primo piano ai synth quasi onnipresenti, sorretti  quindi da un lavoro dietro le pelli saggiamente lineare e creativo.

Appare necessario quindi un occhio in osservanza unicamente di come questo insieme sia stato costruito mattone su mattone, idea su idea. Ciò su cui si sofferma questo racconto, questo sfogo, oserei dire, è indubbiamente la nullatenenza e la morte certa, ma al contempo assume aspetti diversissimi nel raccontarlo, provenienti da ogni angolo della mente, e come un essere annegato nella tristezza, sa essere ora rassegnato, ora furente e ora nuovamente rassegnato.
Nell'atmosfera che si fa spazio si gode di un'onnipresente aria molto gotica, decadente. Facili sono i cambi di tempo, cosi come preziona è la presenza di stacchi calmi ed iprovvisi, che risultano per niente fuori posto.

Quanto descritto qua, è quindi la visione della condanna, seguita solo dal silenzio. Un opera luttuosa, dalle pennellate scure, inattese quando aggressive. Quindi, seppur capace di non stancare con riff perpetuati, non è quel tipo di opera che si concede distaccamenti di tema. Tuttavia, il feeling sembra esserci.

74/100

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