19 ottobre, 2011

Amesoeurs, Amesoeurs (2009)


  1. Gas in Veins - 05:08
  2. Les ruches malades - 04:17
  3. Heurt - 06:01
  4. Recueillement - 07:00
  5. Faux semblants - 04:21
  6. I XII V XIX XV V XXI XVIII XIX – IX XIX – IV V I IV - 01:41
  7. Trouble (Eveils infames) - 04:49
  8. Video Girl - 04:11
  9. La reine trayeuse - 05:32
  10. Amesoeurs - 04:03
  11. Au crépuscule de nos rêves - 11:16

Neige - Voce, chitarra, basso
Audrey Siylvain - Voce, piano
Fursy Teyssier - Chitarra, basso
Winterhalter - Batteria

Odio uniforme. Ritrovamento. Rassegnazione. Un'era in bianco e nero. L'ambiente che punta ad edificare l'opera omonima di questi freddi e distaccati francesi è quello urbano più cupo, fatto di sguardi non colti e luci fugaci, di ricerca di ordine e di ferrosi palazzoni illuminati a spaglio che danno l'errata illusione della perfezione.


Il vorticoso sciame di idee e concetti qua espresso è paragonabile ad un intricato scorrere di persone su una strada. Un insieme formato da figure affaccendate in scopi premeditati. Delineati in sfaccettature uniche, spesso ripetute, che nell'insieme appaiono uniformi. E in questa osservazione attonita, che mette a nudo ciò su cui cala, sarà facile notare come nulla è lasicato al caso, come tutto sia assorto in contemplazione, ed anche gettato nella ribellione.
L'opening, presentato a noi con calma sedata, ci presenta questo turbine. Se ne può parlare, ma meglio di no. Meglio lasciare che gli arpeggi neri e ariosi stendano il tappeto di velluto per tutto ciò che avrà luogo. Narrazioni sofisticate e portatrici di sensazioni disparate, suoni distorti, non necessariamente aggressivi, rumori elettronici e piani soffusi. Di altro non si tratta se non della metafora di una metropoli nebbiosa. Vi sono tante porte che vengono varcate, una dopo l'altra. In alcune si trova tepore, quasi pace, in altre freddo e durezza, in altre semplice tristezza, in altre ancora, solamente il chaos.
È quindi un turbine che mai cade in contraddizione. Un impasto in cui gli ingredienti si abbracciano ma non si mischiano. È infatti la presenza di più generi assai diversi che si affacciano da finestre vicine, ciò che da origine a questa forma. Una considerazione a sé stante lo merita il canto, fatto di una voce maschile urlata col ghiaccio nelle vene e una femminile, più amichevole, conturbante, che inaspettatamente si iritrova a urlare anch'essa l'esasperazione che si ritorva a contemplare.

In tutti questi schemi lineari disegnati è facile riconoscere dai Joy Division, agli Smashing Pumpkins agli Alcest. Una caleidoscopica colonna sonora dall'era moderna, come loro stessi definiscono quest'opera.
E quando questa arriva alla fine, si comprende che si è appena passati in rassegna ad un folto insieme di concetti cupi, per gli uni fallaci illusioni, per gli altri, routine.

84/100

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