30 ottobre, 2011

The Ruins of Beverast, Unlock The Shrine (2004)


  1. Between Bronze Walls - 08:40
  2. Skeleton Coast - 03:06
  3. Euphoria When The Bombs Fell - 05:43
  4. God Sent No Sign - 03:05
  5. The Clockhand's Groaning Circles - 10:44
  6. Procession Of Pawns - 04:00
  7. Summer Decapitation Ritual - 07:55
  8. Cellartunes - 02:05
  9. Unlock The - Shrine - 09:05
  10. Subterranean Homicide Lamentation - 01:59
  11. The Mine - 12:01
  12. White Abyss - 01:38

Alexander von Meilenwald - Voce, tutti gli strumenti

Le rovine di Beverast, arcano termine coniato dal musicista stesso, riferito a vicende norrene (?), si presenta come progetto solista frutto della mente di Alexander von Meilenwald, costola di più di un progetto black metal. E da tutti questi, anche senza doverli esaminare tutti, si potrebbe dire che vengono prlevati quanti più dettagli possibile, al fine di creare un'opera distinta.


E se questo era l'obbiettivo, si può dire senza indugi che è stato raggiunto. L'opera qua presentata erige ambienti catacombali e stravolgenti. Facili sono le parti lunghe e inquietanti, lente e senza ossesione per la violenza, ma è altrettanto facile potersi ritrovare un minuto dopo fra blast beat riecchegianti lanciati alla carica e tra le chitarre spietate, originari del BM prettamente guerrafondaio, tra cui è facile notare quelli dal fare solenne, ma anche quelli evidentemente rivolti verso il depressive.

Ma tutto ciò ancora non si estrania dai canoni, ed evidentemente non basta. A porre rimedio ci pensano le lugubri campionature industrial, i suoni dark ambient cimiteriali incastrati sapientemente tra i passaggi furenti, più facilmente a scopo di rottura, ma spesso e volentieri anche uniti ai medesimi. Quando si possa pensare che qualche passaggio sia povero di questi elementi, non si deve avere fretta, poiché la “sinfoniaˮ è presente quasi in ogni traccia, ed è molto rinomata quando a braccetto con la furia della sezione strumentale.
Tutto appare come un cammino tra una stanza è l'altra, in cui si possono trovare dagli ambienti ritualistici spaventosi alla semplice distruzione. È, in parole povere, un black che ha parecchio a cuore la seconda ondata, ornato però con un programming oscurissimo, come se non fosse abbastanza.
E a narrare tutto ciò non è di certo un prevedibile scream acuto e freddo. La voce è distorta, certo, ma particolare, semplicemente iraconda, a tratti completamente pulita e abbandonata a lamenti, che aderisce perfettamente all'opera, resa ancora più apocalittica.

Non è ovviamente un'opera per tutti. Il black metal non lo è mai stato, certo, ma architetture profetiche e folli come queste, non sono per tutti due volte. Cosnigliato ai pofondi apprezzatori dei Bethlehem, o a chiunque abbia il coraggio di contemplare il male da terribilmente vicino.

73/100

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