14 ottobre, 2011

Colosseum, Chapter 1: Delirium (2007)


  1. The Gate of Adar - 10:51
  2. Corridors of Desolation - 06:40
  3. Weathered - 13:00
  4. Saturnine Vastness - 10:10 
  5. Aesthetics of the Grotesque - 12:17
  6. Delirium - 11:40

    Janne Rämö - Basso, voce
    Sameli Köykkä - Batteria
    Olli Haaranen - Chitarra, programming
    Juhani Palomäki - Voce, chitarra, tastiera

    Ve ne sono parecchie in giro di prove che per elevare all'ennesima potenza sensazioni difficilmente ripetibili non è affatto obbligatorio farcire la propria opera con virtuosismi e atti inenarrabili di vario tipo. I finnici Colosseum, sciolti nel 2010 lasicando compiuta solamente una (premeditata?) trilogia, ci regelano, con il primo capitolo di quest'ultima, un'ulteriore conferma du questo concetto, un altro pezzo del puzzle del funeral doom dalle atmosfere ampie, decadenti e colossali (aggettivo che non è mai stato così azzeccato).


    Pur non lanciandosi in territori inesplorati, Chapter I riesce ad architettare strutture strettamente personali, dall'aria epica e apocalittica, circondate da un'aleggiante malinconia senza fine.
    Ciò è dovuto sopratutto per la cura maniacale per la registrazione. La base sinfonica è immensa, costantemente impegnata a spianare il terreno dove procedere con il resto della strumentazione. La sezione corde è al suo stesso piano e cattura l'attenzione con particolare forza solo quando lo desidera la chitarra lead. Si nota immeditamente anche lo stile della batteria, senza fretta, capace, con quei crash soffusi come insegnano gli Skepticism. L'esigente zona vocale narra temi Lovercraftiani, e ricorda lo stile degli albori di Pasi Koskinen.

    L'opening è deciso e consapevole, in cui già partono le ricchissime fondamenta orchestrali. Chitarre lead richiameranno immagini terrificanti, costituiranno lo scheletro nei momenti più sconsolati, e si getteranno, seppur di rado, in “rapideˮ cavalcate insieme alla batteria. Da qua sarà un intreccio di giri ora più malinconici e ora più epici, ma sempre spietati, in cui la linea vocale regnerà abbondante.
    Da Saturnine Vastess si ha un ulteriore aumento del fare solennità. Il riff di apertura sembra effettivamente prelevato da un opera cinematografica di stampo storico, incentrato sulle tragedie greche, il lavoro dietro le pelli si fa più fantasioso e aumenta anche la dark attitude, con suoni flebili sparsi e lunghi preludi leggeri dal sapore gotico. Protraendosi verso la fine si ha invece una forte marcatura dell'accento malinconico, che culmina con canti femminili lamentosi e soavi, percettibili in lontananza, per poi sentir tornare la sonorità complessiva alle intenzioni epico-apocalittiche percepite in principio, che non abbandonano comunque l'attitudine dark. Infine appaiono rassegnati rintocchi di piano che incanalano un ending brusco, ma per nulla improvviso.

    L'essere esaminato con questa oretta abbondante di ascolto appare onirico ed oscuro. Un'immenso monolite di ossidiana che procede lento e schiaccia ciò che incontra, tra cui per prima cosa, il sorriso dal volto. Fortemente consigilato agli estimatori dei primissimi Shape Of Despair.

    80/100

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