05 dicembre, 2011

1349, Hellfire (2005)


  1. I am Abomination - 04:10
  2. Nathicana - 04:39
  3. Sculptor of Flesh - 03:18
  4. Celestial Deconstruction - 07:45
  5. To Rottendom - 05:52
  6. From the Deeps - 06:25
  7. Slaves to Slaughter - 06:11
  8. Hellfire - 13:49

Ravn - Voce
Archaon - Chitarra
Tjalve - Chitarra
Sidemann - Basso
Frost - Batteria

Dunque. Milletrecentoquarantanove. Un nome che venendo a conoscenza del significato, si potrebbe pensare che sia un altare al cinismo. Nella suddetta data, infatti, la temibile peste nera giunse in Norvegia. E questi loschi individui, pensate un po', sono norvegesi.


Cosa aspettarsi da loro, se non la violenza, la furia di una creatura indicibile e uscita da chissà quale maleborgia dantesca, che schiaccia ogni nemico come miserabili scarafaggi? Nulla. Dopotutto, sarebbe alquanto sciocco aspettarsi la non violenza, ove vi siano personaggi come Frost dietro le pelli, o il buon Ravn alla voce.
La violenza, quindi. Ok, ma esattamente come succede in una pellicola pregna del medesimo elemento, essa, col regolare procedere risulta facilmente noiosa, probabilmente anche per chi già è avezzo al genere. Ma la violenza, è anche complicata. A tal punto da rendere necessario un criptico track-by-track, o almeno qualcosa di simile, per la gioia di chi legge, ed un po' meno per le mie meningi.
Un breve riff ultra diabolico e notturno apre le danze, con già una delle tracce più dirette dell'album, I Am Abomination. Una di quelle tracce foderata di trovate “frostbittenˮ. Tremolo picking affilati visualizzano scenari distruttivi, che teoricamente dovrebbero essere accompagnati da una basso. Teoricamente, poiché malgrado tutti gli ascolti che diedi all'album, non posso non ammettere di non averlo udito neanche per sbaglio.
La successiva Nathicana, ci offre quasi insapettatamente un acquietamento di questa creatura furibonda, sfoggiando stacchi prettamente depressive black, in cui anche la voce diventa il tipico scream di questa ramificazione. Frost ci pensa giusto per pochi secondi a darsi una calmata, ma i suoi blast beat risultano comunque al loro posto.

Con le successive tracce ci rendiamo conto che il macello vero e proprio sta sfondando i cardini delle porte della mente dell'ascoltatore, e che prenderà piede nella medesima nei successivi istanti. Sculptor Of Flesh, traccia ricca di passaggi in cui schitarrate nere e sfuriate sul tom sembrano giocare per tutta la durata di essa, o la ben più solenne Celestial Decostruction, ricca di cambi di tempo laboriosi, che mancano però di fantasia, specie per la batteria che come ho già detto, non accenna a variegare, ci doneranno una massiccia dose di ira funesta.
Giunge quindi To Rotterdom, purtroppo una delle traccie più anonime, insieme alle due successive. Non perché manchino di sapore, ma  ben sì perché propinatrici delle classiche fusioni, qua fra black e death, seguita dall'ancor più cieco black evidentemente rivolto verso la prima ondata di From The Deeps, che risulta differire ben poco dalla traccia precedente. Tutte comunque canzoni aventi trovate che lì per lì appaiono efficaci, che fanno prendere a testate l'aria facilmente, certo, ma che purtroppo cadono nel dimenticatoio in breve tempo. La successiva Slaves To Slaughter è maggiormente new school, e risulta possedere passaggi che si stampano più intensamente tra la memoria.

L'ending track, quindi, Hellfire, si schiude con tetri synth accompagnati dallo strepidio delle fiamme, autrici di un lungo intro ambient che apre la strada al brano vero e proprio, che sfonderà il medesmio intro con tutta la sua schiettezza, con quelle cavalcate di black norvegese che non invidia nulla a nessuno e rade alle fondamenta ciò su cui si imbatte. E che rendono quindi la traccia, una delle migliori.
E quando questa va a concludersi tra fiamme e risate malefiche, ci si accorge della simbolica durata: tredici minuti e quarantanove secondi.
Una trovata che qualcuno definirebbe simpatica, qualcun'altro geniale, qualcun'altro ancora, patetica. Peccato, perché è per davvero una canzone black esemplare. Tutto sommato è un lavoro che ben poco ha da elemosinare per quanto riguarda brutalità e cattiveria. Potrebbe essere lo stesso per fantasia, e in certi punti di vista lo è anche, ma in altri per nulla. Peccato.

73/100

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