29 febbraio, 2012

Woods Of Ypres, Woods 5: Grey Skies & Electric Light (2012)


  1. Lightning & Snow
  2. Death Is Not An Exit
  3. Keeper Of The Ledger
  4. Travelling Alone
  5. Adora Vivos
  6. Silver
  7. Career Suicide (Is Not Real Suicide)
  8. Modern Life Architecture
  9. Kiss My Ashes (Goodbye)
  10. Finality
  11. Alternate Ending
David Gold - voce, chitarra, batteria
Joel Violette - chitarra, basso, piano
Non è affatto semplice recensire o anche solo parlare di questo Woods 5: Grey Skies & Electric Light, quarto album (quinto se si conta anche il loro primo EP) della formazione canadese in questione. Nella sua valutazione, più o meno volontariamente, ricadono vari fattori, tra i quali anche la prematura morte del cantante David Gold, morto in un incidente stradale il 22 dicembre, e quindi la prevedibile futura inattività del gruppo e, almeno per me, non risulta semplice essere sempre obiettivo, ma cercherò di farlo.

La prima cosa che si può notare e che si può dire ascoltando attentamente questo full-length è che lo stile dei Woods Of Ypres è sensibilmente cambiato, e non in un modo troppo prevedibile anche se dalla loro precedente uscita, quel loro Woods IV: The Green Album, una direzione simile si sarebbe potuta intuire. Gli elementi Black Metal che avevano portato il loro primo EP, Against The Seasons: Cold Winter Songs From The Dead Summer Heat, ad essere quasi prettamente un album del genere e il loro debut, Pursuit Of The Sun & Allure Of The Earth, a suonare come un Doom Metal di matrice più tipica di gruppi come gli Agalloch non sono più tanto presenti se non in qualche canzone, per esempio Adora Vivos e Keeper Of The Ledger (canzone che nella sua parte iniziale mi ricorda un po' Falkenbach di Tiurida), e sotto forma di qualche riff un po' più spinto degli altri accompagnato da una voce in scream. A questa loro mancanza rispetto agli album precedenti, che tuttavia si era già fatta sentire un po' in Woods IV, si va a sovrapporre una novità in casa Woods Of Ypres: una certa vena Alternative Rock che si fa sentire bene o male in tutte le canzoni ma soprattutto, molto più chiaramente, in Silver, forse la traccia peggiore di tutto il lotto, rimane poco in testa e colpisce ancora di meno, e Kiss My Ashes (Goodbye). Questa nuova unione, purtroppo, non riesce a funzionare sempre. Per esempio, la canzone appena citata si divide tra parti più rockeggianti, che a parere di chi scrive sono anche le peggiori, le più banali e le più pacchiane, e parti più lente, praticamente Doom, con anche elementi Folk, che sono invece quelle più efficaci e che tirano un po' su la valutazione di questa traccia di quasi undici minuti. Il giusto ed equilibrato connubio tra le due matrici invece si ha in canzoni come Death Is Not An Exit, Travelling Alone e Modern Life Architecture, sicuramente tra le migliori dell'album (l'ultima la definirei anche la migliore in assoluto) e meglio rappresentanti questo nuovo stile interpretato e intrapreso dal gruppo canadese.

Per il resto l'album si divide tra chiari singoli commerciali come Career Suicide (Is Not Real Suicide), canzone non bruttissima ma che ha comunque un chiaro intento "imprenditoriale" se così si può dire, e i due finali Finality e Alternate Ending, entrambi piuttosto efficaci e piacevoli da ascoltare, dando spesso sensazioni alterne e contraddittorie, passando dalla soddisfazione nel sentire che il gruppo è riuscito a rinnovarsi con successo alla delusione nel sentire la mano della Earache Records in una, forse due canzoni e, ancora, al sentire l'inefficacia delle nuove soluzioni in un paio di episodi. Verrebbe da chiedersi se mai David Gold, se fosse miracolosamente ancora in vita, fosse riuscito a migliorare i difetti riscontrati in questo Woods 5 e a tirare fuori in futuro un album che suonasse ancora fresco e sempre migliore, che non sembrasse come a metà tra due mondi, a volte tendente da un parte, a volte dall'altra, ma che creasse un microcosmo tutto suo. È un album forse troppo poco equilibrato, meno sicuramente di Pursuit Of The Sun & Allure Of The Earth anche se certamente più di Woods III: The Deepest Roots And Darkest Blues, con qualche alto e basso di troppo che non permette di considerarlo un album completamente riuscito nonostante sia piacevole da ascoltare.

76/100

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