07 novembre, 2011

Doom:VS, Aeternum Vale (2006)


  1. The Light That Would Fade - 09:08
  2. Empire of the Fallen - 05:41
  3. The Faded Earth - 08:01
  4. Oblivion Upon Us - 07:28
  5. The Crawling Insects - 07:01
  6. Aeternus - 12:26

Johan Ericson - Voce, tutti gli strumenti

Doom:VS è l'appellativo che Johan Ericson usa per dare un nome al suo nuovo progetto funeral doom. Dico nuovo, perché appartiene indubbiamente allo stile contemporaneo: niente chitarroni catacombali, batteria avente cinque o sei elementi a voler essere generosi o basso spacca timpani. Indicando Doom:VS si indica un gruppo death doom sinfonico che suona funeral.


D'altronde la mente autrice di tutto ha provenienze che non brillano certamente per cattiveria e schiettezza. Aeternum Vale non è infatti prevalentemente opprimente. Ho detto prevalentemente, sia chiaro. Quello che si arriva a contemplare è quel tipo di musica che mira a coprire la luce con spessi strati di grigiore. Obbiettivo che viene centrato per mezzo della stessa compattezza tipica di questo genere, immersa però in una dimensione ovattata e sfocata, dai tempi riflessivi.
Aprendosi a noi già ingranata ed immedesimata in tutto ciò che vuole comunicare (nulla di piacevole, in qualunque caso) l'immersione in questa dimensione risulta immediata. Chitarre lead scorteranno l'ascoltatore per tutti questi gironi nebbiosi e abbandonati, mentre il grunt, più di una volta colto in rassegnati monologhi in clean, è forse ciò che più resta attecchito ai canoni, illustrando i momenti e sensazioni che solitamente si cercano di evitare. Ma in fondo cosa mai si potrebbe trovare nel fnueral doom.
Notevole sarà l'aiuto apportato dai synth per la formazione di queste architetture decrepite, che richiamando orchestre di archi e trombe, con quasi nessuna sosta, saranno il terreno ideale per l'opera, una volta fuse con le corde dalla distorsione quasi death metal.

L'atmosfera ultima appare ricca e personale, se pur evidentemente affezionata ai canoni. Coglitrice di una pesantezza considerevole per giunta dilatata e ampia, spesso e volentieri intenzionata ad opprimere, non la carne, ma la mente. Pesante, quindi, ma anche dolce. Descrive con cura crudele ciò che si può assaporare in momenti gravi, ma è altrettanto attenta ad essere una compagna di viaggio, evanescente e non menzognera.
Cinquanta minuti di passaggi che vanno molto vicino al centro bersaglio, e che quando vi arrivano fanno perdere la mente fra le ombre più accoglienti.

75/100

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